Pietà popolare - Parrocchia Sturno

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Pietà popolare

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EVANGELIZZARE LA PIETA’ POPOLARE
NORME PER LE FESTE RELIGIOSE
- 2013 -

❁Ai Presbiteri e ai Diaconi della Conferenza Episcopale Campana
❁Ai Religiosi e alle Religiose
❁Ai Fedeli laici

Introduzione

Carissimi,Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, così si esprime parlando della pietà popolare: “Qui tocchiamo un aspetto dell’evangelizzazione che non può lasciare insensibili. Vogliamo parlare di quella realtà che si designa spesso oggi col termine di religiosità popolare” (1). Essa - continua il Papa - “ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi, di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni culturali senza impegnare una autentica adesione della fede. Può anche portare alla formazione di sette e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale. Ma se ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori”(2). Manifesta, infatti, “una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono riconoscere; rende capaci di generosità e di sacrifici fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, noi la chiamiamo volentieri pietà popolare, religione del popolo, piuttosto che religiosità”(3)Giovanni Paolo II ha sottolineato che la pietà popolare è un vero tesoro del Popolo di Dio e deve essere strumento di evangelizzazione e di liberazione cristiana. .Il “Messaggio al Popolo di Dio”, a sua volta, al termine della XIII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione (7-28 ottobre 2012), dice: “Sentiamo di dover esortare le nostre parrocchie ad affiancare alla tradizionale cura pastorale del Popolo di Dio le forme nuove di missione richieste dalla nuova evangelizzazione. Esse devono permeare anche le varie, importati espressioni della pietà popolare”(4)

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1 PAOLO VI, “Evangelii Nuntiandi”, in Enchiridion Vaticanum, 5/1643.
2 Ivi.
3 Ivi.
4 Sinodo del Vescovi, (7-28 2012), Messaggio al Popolo di Dio, n.8.

1. Pietà popolare

L’espressione “pietà popolare” designa il complesso di manifestazioni, prevalentemente di carattere comunitario, che nell’ambito della fede cristiana si esprime non secondo i moduli e le leggi proprie della liturgia, ma in forme peculiari sorte dal genio di un popolo e dalla sua cultura e rispondenti a precisi orientamenti spirituali di gruppi di fedeli. Essa fa riferimento esplicitamente alla rivelazione cristiana, cioè alla fede in Dio Uno e Trino, in Cristo vero Dio e vero uomo, Salvatore di tutto il genere umano e alla Chiesa, che è “in Cristo come sacramento o segno e strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”(5)
L’aggettivo popolare richiede una puntualizzazione. Immediatamente esso suscita una reazione negativa: sembra indicare espressioni devozionali scadenti, implicitamente opposte a manifestazioni cultuali scelte, elitarie, velatamente aristocratiche. Ma nel nostro caso “popolare” non va inteso pregiudizialmente in senso negativo perché esprime relazione con il popolo, cioè con il “popolo di Dio”, al quale appartengono fedeli colti e illetterati, poveri e ricchi, chierici e laici. Esso indica, invece, positivamente, che la manifestazione cultuale trae origine dal popolo e, compiuta per il popolo, è portatrice di valori propri del popolo di Dio. . I fondamenti dottrinali sono la Sacra Scrittura e il “Credo” della Chiesa.Conseguentemente possiamo così definire la “pietà popolare”: “Il complesso di manifestazioni cultuali che sono in sintonia con la cultura di un popolo e ne esprimono l’identità” (6)
Ma quali sono le caratteristiche, i valori e gli orientamenti della pietà popolare? .Come connotati e valori della pietà popolare sono indicati normalmente la spontaneità, in quanto essa nasce non tanto dal ragionamento quanto dal sentimento; l’apertura alla trascendenza come superamento della povertà “esistenziale” in cui spesso il popolo vive; il linguaggio totale con il quale la pietà popolare trasmette la fede non con il ragionamento ma con il silenzio e la parola, il canto e la danza, il gesto individuale e l’azione corale, l’immagine e il colore; la concretezza con cui la pietà popolare dialoga con Dio e affronta i problemi della vita quotidiana segnata spesso dal dolore e dalla fatica (povertà, malattia, mancanza di istruzione e di lavoro …), i grandi cicli dell’esistenza (nascita, crescita e maturazione, matrimonio, anzianità, morte, aldilà) e i contenuti che le danno colore e calore (l’amicizia, l’amore, la solidarietà); la saggezza che tende a congiungere in una sintesi vitale divino e umano, spirito e corpo, persona e comunità, fede e patria, intelligenza e affetto; la memoria che porta a trasmettere il passato come “racconto” e a vederlo come un “fattore di identità” per il gruppo e la collettività; la solidarietà che si incontra più facilmente tra gli umili, i poveri, i semplici che non hanno ideologie che li dividono, ma esperienze di vita e sofferenze che li uniscono: per gli umili e i semplici la condivisione – del pane, del tempo,
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5 Lumen Gentium, 1.
6 I. M. CALABUIG, “Pietà popolare”, cit., p.1141.


della parola – è un fatto normale intuendo che non possono aspirare alle ricchezze del cielo senza condividere i beni della terra.Per quanto riguarda gli orientamenti possiamo dire che la pietà popolare, al di là della varietà di situazioni e di culture in cui si esprime, ha alcune caratteristiche comuni: l’adorazione alla Santissima Trinità e l’amore a Dio, padre buono e provvidente, signore onnipotente, giudice giusto e misericordioso; l’attenzione amorosa per l’umanità di Cristo, contemplato soprattutto nei misteri dell’infanzia (Gesù bambino), della passione (Gesù crocifisso, l’Ecce homo, il Volto Santo), del suo amore misericordioso (Sacro Cuore) e della sua presenza nascosta (il Santissimo Sacramento); la venerazione della Madonna; la devozione degli Angeli, il culto dei Santi visti dai fedeli come amici e intercessori del popolo di Dio; la preghiera per i defunti con la celebrazione di sante Messe di suffragio e le indulgenze per i defunti, nonché con la visita dei cimiteri.2. La situazione attualeLe numerose feste popolari organizzate nella nostra Regione hanno spesso purtroppo la parvenza del sacro. Per questo motivo esse, svuotate del loro contenuto cristiano, non rendono credibile la fede da parte dei lontani, mentre i giovani le rifiutano perché prive di ogni valore di autentica testimonianza cristiana e i poveri le giudicano più una provocazione che un annuncio gioioso della salvezza.Le stesse processioni frequentemente si risolvono in estenuanti maratone di questuanti che offendono il decoro e il sacro e non sono certo segno di una Chiesa peregrinante.In tale contesto bisogna recepire con tempestività l’istanza di una religiosità essenziale che rifugga da forme colorate e rumorose e che tenda ad una interiorizzazione del culto.Perché le feste religiose siano autentiche celebrazioni di fede incentrate nel mistero di Cristo e siano purificate da infiltrazioni profane riteniamo indifferibile un’azione pastorale che si proponga di vivere le manifestazioni esterne del culto popolare in modo che siano espressioni autentiche e comunitarie di fede; di formare, con una seria e puntuale catechesi, una sana opinione pubblica sul significato cristiano di questi riti collettivi; di purificare il culto popolare, spesso decaduto a sagra mondana e a fatto di folclore, dalle incrostazioni superstiziose che si sono sovrapposte.A tale scopo noi vescovi della Regione Ecclesiastica Campana a quanto sopra detto aggiungiamo alcune direttive pastorali che devono diventare norme operative per le nostre comunità ecclesiali riguardanti le feste religiose e le processioni – che sono di esclusiva competenza e autorizzazione dell’Autorità ecclesiastica che coinvolge, in genere, la Forza Pubblica locale per il necessario servizio di vigilanza e di sicurezza - i pellegrinaggi e i santuari. Altra cosa, invece, sono le feste popolari che nulla hanno di religioso e non sono riferibili all’Autorità ecclesiastica, perché attengono ad appositi comitati, a fatti storici e consuetudini locali, a motivazioni culturali o folcloristiche o turistiche.



3. Evangelizzare la pietà popolare

Per superare le carenze e i difetti della pietà popolare, e perché i suoi valori non vadano dispersi, il Magistero e gli studiosi di teologia pastorale offrono preziosi indicazioni:
- Evangelizzare la pietà popolare con un rapporto continuo e fecondo con la Parola di Dio.
- Orientare la pietà popolare verso la liturgia, che è il “culmine verso cui tende tutta l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana la sua virtù” (7).
Liturgia e pietà popolare sono due espressioni legittime del culto cristiano. Ambedue hanno lo stesso scopo: la glorificazione di Dio e la santificazione dell’uomo. Non sono quindi da opporre ma neanche da equiparare “data la natura di gran lunga superiore della liturgia”(8)
- Superare il distacco tra culto e vita. Sia sulla liturgia sia sulla pietà popolare incombe il rischio di un distacco tra il momento cultuale e l’impegno di vita. Non sono rari i casi in cui persone che vivono notoriamente in situazioni gravemente lesive della giustizia e dei doveri familiari sono zelantissime nel partecipare a manifestazioni di pietà popolare: processioni, offerte votive, feste patronali, etc. La pietà popolare per comunicare con il soprannaturale cerca spesso il contatto immediato attraverso fenomeni straordinari – apparizioni, visioni, etc.
– piuttosto che attraverso la fede; predilige illusorie scorciatoie invece della via maestra della croce; appare viziata dalla vana credulità che al serio impegno sostituisce il facile affidamento a pratiche solo esteriori e da una certa mentalità utilitaristica (lucrare indulgenze, ottenere grazie, assicurarsi l’ingresso in paradiso mediante l’osservanza di certe pratiche vissute peraltro al di fuori del loro contesto originario: i primi venerdì del mese, scapolare della Madonna del Carmine, medaglia miracolosa). . Liturgia e pietà popolare perciò sono due espressioni cultuali da porre in mutuo e fecondo contatto. La liturgia dovrà costituire il punto di riferimento per incanalare con lucidità e prudenza gli aneliti di preghiera e di vita carismatica che si riscontrano nella pietà popolare mentre questa, con i suoi moduli simbolici ed espressivi, potrà fornire alla liturgia elementi e indicazioni per una valida inculturazione e stimoli per un efficace dinamismo creatore.

4. le feste religiose e le processioni

Desiderosi di aiutare le nostre Chiese a purificare, consolidare, elevare le feste religiose, a partire dalla riscoperta delle loro radici, in continuità con i nostri predecessori che nel 1973 emanarono precise direttive sul problema, confortati in questo dai numerosi interventi dottrinali dei Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
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7 Sacrosanctum Concilium, 10.
8 Ivi, 13.


S T A B I L I A M O

a.– Momento liturgico - celebrativo

1. Le feste sono momenti importanti della vita religiosa di una comunità. Il loro insieme costituisce il “santorale locale” che deve essere custodito con ogni cura e non può essere alterato nel suo equilibrio tradizionale. Ogni nuova festa necessita perciò di espressa autorizzazione dell’Ordinario.
2. La festa sia preparata con un “novenario” o “settenario” o “triduo” ben curati, dando ampio spazio all’ascolto della Parola di Dio per avvicinare con opportune catechesi anche i lontani al sacramento della Riconciliazione e all’adorazione eucaristica, secondo un programma preparato dal Consiglio Pastorale Parrocchiale.
3. Si concluda la preparazione con un gesto di solidarietà all’interno o anche fuori dei confini parrocchiali.
b. Momento ludico – esterno
-Anche il momento ludico è un elemento importante della festa: non va trascurato! Non deve essere però prevalente e staccato dal momento religioso, al quale deve rimanere sempre subordinato. Non è concepibile infatti che una “festa religiosa”, che si qualifica quale pubblica manifestazione di fede, si riduca poi a manifestazione paganeggiante, con sperpero di denaro per il cantate famoso e per i fuochi artificiali. L’equilibrio dei due poli della festa -quello liturgico-celebrativo e quello ludico - è frutto di sapiente dosaggio, fatto “in loco” dal Consiglio Pastorale attingendo alle tradizioni culturali del luogo.

-Nell’organizzazione concreta il Consiglio Parrocchiale può avvalersi di un Comitato esterno, di cui comunque devono far parte alcuni membri del Consiglio stesso.

-Ogni comitato va costituito secondo queste tassative norme:

- sia sempre presieduto dal parroco che lo forma, chiamando a farne parte persone che si distinguono per impegno ecclesiale e onestà di vita;

- non sia permanente, ma resti in carica per la sola celebrazione della festa, secondo il programma di massima preparato dal Consiglio Parrocchiale ed approvato dalla curia almeno un mese prima;


- si impegni a rispettare le norme vigenti, sia canoniche che civili (SIAE secondo la convenzione stipulata dalla CEI ed altre tasse), e a redigere entro un mese il bilancio consuntivo della festa, che deve essere vistato dal Consiglio Affari Economici, il quale per l’occasione svolge il ruolo di Collegio dei Revisori dei conti;

- le feste esterne siano celebrate nei giorni stabiliti dal calendario liturgico. E’ consentito conservare date tradizionali diverse, purché non coincidano con solennità che godono di assoluta precedenza (Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini, SS. Trinità);

- le Confraternite non possono organizzare feste, né possono costituirsi autonomamente in comitato senza l’autorizzazione del parroco, al quale compete la presidenza e la richiesta del nulla osta alla Curia. Le Confraternite inoltre sono tenute ad osservare le presenti norme e quindi devono anch’esse provvedere al rendiconto amministrativo nei termini stabiliti di un mese;

- sono rigorosamente vietati spettacoli leggeri o di altro tipo, che non diano garanzia nei contenuti, nel linguaggio, nell’abbigliamento, nell’organizzazione per rispetto del decoro e della dignità che una festa religiosa richiede. Si preferiscano invece spettacoli folk, musica seria, di gruppi teatrali (meritevoli di riscoperta e di riproposta sono le “drammatizzazioni tradizionali della vita del santo), di giochi popolari che coinvolgono la gente del luogo e ne promuovono una migliore integrazione sociale: l’identità di un paese non si misura da una serata fantastica, ma dalla partecipazione attiva della gente ai festeggiamenti.

- La processione è una espressione pubblica di fede. Perciò non è consentito lasciarla in balia dello spontaneismo, bensì occorre curarla e guidarla in maniera tale che sia realmente una corale testimonianza dei genuini sentimenti religiosi della comunità.
Pertanto:
• Le processioni si possono tenere solo se c’è un concorso di popolo.

• Il corteo, guidato dal sacerdote o da un diacono, sia organizzato in modo da favorire il raccoglimento e la preghiera.

• Non è lecito attaccare denari alla statua che peraltro non può essere messa all’asta e trasportata dai migliori offerenti. Non è consentito ugualmente raccogliere offerte e fermare la processione mentre si sparano fuochi artificiali.

• I comitati non possono in nessun modo interferire nella processione.

• Secondo itinerari concordati con il Consiglio Pastorale Parrocchiale le processioni seguano le vie principali e siano di breve durata, contenute possibilmente nello spazio di due ore.

• Parte delle offerte raccolte in occasione della festa sia riservata a gesti di carità e a rendere più belle le nostre chiese.



5. pellegrinaggi e santuari

Il pellegrinaggio, esperienza religiosa universale, è un’ espressione tipica della pietà popolare, strettamente connessa con il santuario della cui vita costituisce una componente in dispensabile: il pellegrino ha bisogno del santuario e il santuario del pellegrino. Esso si configura come un cammino di conversione

.La partenza sia opportunamente caratterizzata da un momento di preghiera nella chiesa parrocchiale oppure in un’altra più adatta. L’accoglienza dei pellegrini potrà dare luogo a una sorta di “liturgia della soglia” mentre la permanenza nel santuario costituirà il momento più intenso del pellegrinaggio e sarà caratterizzato dall’impegno di conversione, opportunamente ratificato dal sacramento della riconciliazione e dalla celebrazione eucaristica, culmine del pellegrinaggio stesso. Al termine i fedeli ringraziano Dio del dono del pellegrinaggio e chiederanno l’aiuto necessario per vivere con più generoso impegno, una volta tornati nelle loro case, la vocazione cristiana.

Il santuario è un segno della presenza attiva, salvifica del Signore nella storia; è un luogo di sosta dove il popolo di Dio, pellegrinante nelle vie del mondo verso la Città futura, riprende vigore per proseguire il cammino.
Pertanto:
1. I cortei diretti ai santuari che ostentano stendardi religiosi coperti di denaro o che trasportano, danzando, trofei votivi sono proibiti. Come proibite sono le manifestazioni di isterismo che profanano il luogo sacro e impediscono la devota e decorosa celebrazione della liturgia.
2. I punti vendita di “ricordi” non siano sistemati all’interno dell’aula liturgica e non abbiano l’apparenza di un mercato.
3. I santuari siano luoghi di evangelizzazione, di carità, di cultura e di impegno ecumenico, sensibile alla grave e urgente istanza dell’unità di tutti i credenti in Cristo, unico Signore e Salvatore.


Conclusione

Queste norme non vogliono essere una gabbia dove rinchiudervi la libertà e la spontaneità dei fedeli bensì qualificare la pastorale affinché sottolinei con forza la necessità che la nostra religione non può ridursi a qualche pratica esteriore ma deve incidere sul modo di pensare, di giudicare e di vivere dei cristiani.

Infatti il pericolo più grave cui la pietà popolare va incontro è quella di restare un fatto esteriore e superficiale che non tocca l’uomo nel suo cuore e nella sua vita, un fatto legato cioè a particolari condizioni sociali e ambientali. Non a caso persone che nella propria parrocchia praticano la religione popolare, una volta fuori di tale ambiente per motivi di lavoro o di emigrazione, abbandonano ogni pratica religiosa. “La religione popolare può sopravvivere ai fenomeni dell’urbanesimo e dell’industrializzazione solo se, attraverso un’intensa opera di evangelizzazione, si correggono le deviazioni e si colmano le sue lacune”(9).

I Vescovi della Conferenza Episcopale Campana



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(9) G. DE ROSA, La religione popolare, Edizioni Paoline, Roma 1981, p. 114.



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